La vita non ha per tutti lo stesso ritmo, talvolta il tempo dell’infanzia si prolunga oltre il dovuto; talvolta l’atteggiamento dettato dalle pulsioni adolescenziali permane anche quando l’età anagrafica chiamerebbe ad altri impegni e responsabilità; talvolta alcune persone “mature” hanno conservato sogni, passioni e fantasia che ci si aspetterebbe più facilmente di trovare in un bambino. Alberto Cecchet appartiene a quest’ultima tipologia di uomini.
Alberto è un giovane pensionato, lentiaiese, classe 1959, e dico giovane, non solo perché da poco è entrato nell’età libera del pensionamento, ma soprattutto perché il suo animo ha una delicatezza, sensibilità e passione davvero rari per un uomo in età matura, che ha dimostrato, con il suo successo professionale e familiare, di avere tempra e determinazione nell’affrontare e superare le inevitabili prove che la vita gli ha riservato. Andiamo a trovarlo nella sua officina a Feltre, all’inizio della Culliada; ci accoglie con un sorriso emozionato, insieme alla sua compagna di vita, la moglie Antonella, che scioglie prontamente con cordialità e simpatia l’imbarazzo del primo approccio.
In officina sin da piccolo
Alberto lavora fin da ragazzino nell’officina di cicli e motocicli ereditata dal padre Giovanni.
Ha da sempre fatto questo mestiere; anche se il papà avrebbe voluto che studiasse, lui preferiva rimanere accanto ai motori, alle ruote e agli ingranaggi, che fin da allora hanno esercitato su di lui un fascino irresistibile.
«Al mattino prestissimo io e mio papà andavamo a prendere il pane fresco e il carbone per accendere la stufa dell’officina e poi ci sedevamo qui a mangiare la colazione che profumava di fumo e di pane»: i ricordi fluiscono uno dopo l’altro e l’emozione arrochisce la voce di Alberto quando ricorda il padre che si ammalò quando lui era militare e dovette aiutare la mamma a mandare avanti l’officina. «Ero in caserma e scalpitavo perché pensavo ai lavori da mandare avanti, alla sera in libera uscita mi precipitavo qui e rimanevo a lavorare fino allo scoccare del rientro».
Troppo presto Alberto rimane da solo a gestire l’attività, ma oramai è abile e sicuro nel suo lavoro, stimato e ricercato dai clienti che apprezzano le sue capacità e rispondono rimanendogli fedeli nel tempo, anzi aumentando negli anni.
Per il suo lavoro, che consiste nell’aggiustare cicli e moto, talvolta i ricambi non si trovavano e Alberto già con il padre frequentava i mercatini dell’usato per trovare un pezzo di motore o una ruota altrimenti irrecuperabili.
Comincia poi a spostarsi nei mercatini di Reggio Emilia, ad Imola, a Milano e qui trova, accanto a ciò che gli serve per il lavoro, altri oggetti che richiamano l’infanzia, che per lui si è conclusa forse troppo in fretta.
Quegli oggetti dimenticati…
Si avvicina, prima timidamente e poi in modo sempre più mirato e consapevole, al mondo dei giochi antichi: biciclette, monopattini, camioncini, tricicli, macchine di latta, carrozzine e passeggini, veri capolavori in miniatura di un mondo scomparso, che ricorda bambini ignari del digitale e della didattica a distanza, bambini con le ginocchia sbucciate capaci di rimanere per ore a trascinare un carrettino attaccato ad un filo, immaginando di essere costruttori di palazzi ed edifici fantastici..
Alberto trova lì una nuova dimensione e diventa collezionista di questi giochi, che acquista, porta a casa e restaura, dedicando con amore tutto il suo tempo libero e tutta la sua abilità di artigiano. Le parole con cui racconta come interviene su ogni pezzo rispecchiano il rispetto per chi lo ha creato e anche per il bambino che lo ha usato, fino a consumare il sellino, la ruota, il freno: «Quanto ci avranno giocato con questo camion di legno, vedi le ruote come sono consumate?».
E, anche se non è più un bambino, lo vedo giocare a smontare e rimontare, immaginando il ricambio da scovare in un altro mercatino o da confezionare uguale all’originale, scegliendo la stessa vernice. «Il mio sogno, che presto realizzerò, è condividere con gli altri quanto ho raccolto, aprire le porte del mio laboratorio e farne un museo vero, dove gli adulti e i bambini possano godere di questo mondo di fantasia e immaginazione e provare le emozioni che sento io quando accarezzo i “miei” giochi». Vorrei abbracciare Alberto, ma a causa del Covid non posso; lo faccio con le parole, per ringraziarlo per i suoi sogni e per la sua delicata e preziosa generosità.