Albert Nikolla, viceministro della Sanità e Affari Sociali in Albania, è bellunese di adozione. Arrivato a Belluno negli anni Novanta, come “perpetuo” di don Fabio Cassol nella parrocchia di Pez, è stato il fondatore di “Alba azione di Gioia”, prima associazione di immigrati della provincia, e ha curato gli “Informa Immigrati”.
Il Veses, grazie all’amico Angelo Paganin, lo ha intervistato in esclusiva.
L’INCONTRO CON DON FABIO
«L’incontro con don Fabio Cassol ha segnato la mia vita. Dopo la mia laurea in Scienze Ambientali in Albania nel 1994 ero venuto in Italia per un corso di specializzazione, finito il quale volevo un po’ lavorare. Avevo un cugino a Padova e lo raggiunsi. Mi trovò un lavoro in una stalla nel Vicentino. Quell’impiego era proprio un lavoro di vera schiavitù moderna. Io non avevo il permesso di lavoro, ma solo di studio e mi stava scadendo. Mi mancavano alcuni mesi e li volevo sfruttare per lavorare, mettere via qualche soldo e poi rientrare. I titolari dell’azienda zootecnica sapevano che non avevo i documenti e quindi mi ricattavano. Mi sfruttavano, dandomi ottocentomila lire al mese per 16 ore al giorno, senza giorni di riposo. Le mucche dovevano essere munte anche la domenica, poi mi concedevano una pausa di 6-7 ore di riposo. Il tutto per poco più di milleseicento lire all’ora!
A TRIESTE L’INCONTRO SUL MOLO
Mi recai al porto di Trieste, mio fratello arrivava dall’Albania. Sul molo in piena notte ad aspettare il battello c’eravamo solo io e don Fabio che, con un pulmino blu, stava spettando una famiglia albanese. Mi salutò e poi con fare accogliente mi chiese cosa stessi facendo lì a quell’ora. Gli raccontai la mia storia e gli spiegai che non avevo i documenti per fermarmi di più in Italia e da lì a poco avrei dovuto far rotta verso Tirana.
IL MIRACOLO DI DINO BUZZATI
Gli spiegai del mio stato di schiavitù e che provenivo da una minoranza cattolica albanese. Don Fabio mi chiese che studi avessi fatto e gli narrai anche di aver letto dei racconti di Dino Buzzati, del romanzo “Il Deserto dei Tartari” che mi era rimasto impresso. Lui mi rispose: “Ma non lo sai che io sono stato parroco a Visome dove Dino Buzzati è nato?”. Questo fatto culturale legato a Buzzati lo aveva colpito. Era incredulo come un albanese potesse aver letto cose del conterraneo bellunese ed ancor più che fossi cattolico in un paese dove la maggioranza è musulmana, solo un 20 per cento ortodossa e un 11-12 per cento cattolica. La minoranza cattolica, se pur divisa dal mare dall’Italia e lontana dall’Austria, ha mantenuto un legame culturale con l’occidente, un cordone ombelicale mai reciso.
Gli spiegai che non ero molto preparato sull’aspetto religioso perché l’Albania era appena uscita dal regime comunista, non praticavo molto e neanche capivo cosa significasse “essere cattolico”. Don Fabio mi volle dare una mano e mi diede un contatto con un parroco di Piazzola sul Brenta, ma la cosa non funzionò. Scadutomi il permesso, stavo per tornare a casa, quando richiamai don Fabio per salutarlo. Gli spiegai che mi sarei imbarcato anche se la voglia di restare era tanta. Lui insistette che lo raggiungessi a Pez anche senza documenti.
INVENTIAMOCI IL LAVORO DI PERPETUO
Don Fabio mi viene a prendere a Feltre. Era una cosa pericolosa perché ospitare un clandestino è un reato. Lui ha corso davvero tanti rischi, il lavoro non si poteva trovare perché non avevo i documenti, così don Fabio, nella sua genialità nell’aiutare le persone, si inventò una nuova professione per me. “Tu mi aiuti un po’ in casa a fare dei lavori, a fare un po’ da mangiare, in chiesa a fare le letture a suonare il campanello, inventiamoci un lavoro: farai il perpetuo!” La notizia arrivò ai giornali, stupiti come un ragazzo potesse fare un lavoro del genere. Era il 1995 e con questa occupazione regolare ottenni il permesso in Italia per lavoro.
SPORTELLI INFORMA IMMIGRATI
Così approfittai assieme a degli amici albanesi a fondare, con l’aiuto di Angelo Paganin, del Comitato d’Intesa e del Csv, un’associazione per l’integrazione degli emigrati “Alba azione di Gioia”. Era il 1997.
Don Fabio mi ha aperto tante porte, anche spirituali. In me ardeva la voglia di studiare teologia, per questo leggevo i tanti libri che c’erano in canonica. Un giorno don Fabio mi disse: “Ci iscriviamo alla facoltà di teologia di Belluno!”. Don Fabio nel 1998 decise di andare in missione in Albania, io finii gli studi e completai anche un master di bioetica a Padova e nel 2004 vinsi una borsa di studio per un dottorato all’Università di Firenze.
Prima di andare via da Feltre, sempre con l’aiuto di Angelo Paganin, abbiamo aperto sportelli di Informa Immigrati a Feltre, Belluno, Puos d’Alpago, Agordo, Limana; punti che aiutavano gli immigrati ad adeguarsi alla legge “Bossi-Fini”. Fu un aiuto enorme, sia per gli emigrati che per le comunità che per le amministrazioni pubbliche.
TERRA BELLUNESE RIFUGIO SPIRITUALE
Nel frattempo, mi ero sposato con una ragazza albanese, Raffaela, conosciuta all’Università di Padova. Nei nostri viaggi tra Firenze e Padova, venivo spesso nel bellunese, terra che mi aveva dato la dignità di essere un “uomo libero” e luogo dove avevo trovato la fede autentica. Finire in casa di un prete, il lavoro di perpetuo, gli studi di teologia mi hanno aperto la mente anche spiritualmente; poi attraverso la conoscenza di tante persone, avevo compreso il valore della fede autentica e fervente della gente bellunese. Io ci ritornavo per rigenerare il mio spirito. Mia moglie lo capì e mi sta seguendo qui ancora adesso».
NUOVA COLLABORAZIONE CON L’ALBANIA
Tre anni fa si è aperta una nuova collaborazione. Albert diventa prima consigliere per gli affari sociali del premier Rama e poi è nominato viceministro della Sanità con delega agli Affari sociali. Rafforza i rapporti con Paganin che, coinvolgendo il Rotary Club di Belluno, organizza raccolte fondi per fornire strumentazione tecnica come defibrillatori, apparecchi per ecografie e altro per i piccoli ambulatori periferici. Nasce anche una intesa con l’Ana locale e poi nazionale.
L’ANA E IL CAMMINO DELLA MEMORIA
L’Ana vuole costruire un poliambulatorio nella zona dove l’esercito italiano combatté la guerra nel 1942 in memoria dei caduti. Mi sono impegnato per aprire una seconda ufficiale grande ricerca dei caduti italiani in Albania, dopo quella del 1957-1961. Dai dati dell’Ana, gli alpini morti nel conflitto in Albania furono 39 mila, dei quali solo 9 mila recuperati, gli altri sono ancora dispersi.
PROGETTO INFERMIERI
Nikkola si sta interessando per favorire un accordo che possa portare infermieri albanesi nelle nostre strutture Rsa ed ospedaliere, perché qui mancano. A Tirana c’è l’Università Cattolica che forma infermieri in lingua italiana; il titolo è riconosciuto in Italia perché è equiparato all’Università Torvergata di Roma. I primi arrivi ci sono già stati. Lui sta lavorando per informare e convincere i candidati a non scegliere solo le grandi città venete, ma di pensare a Belluno come un luogo dove ci si può inserire facilmente nella società e dove le infermiere possono pensare di portare qui anche i mariti perché per gli uomini ci sono opportunità occupazionali.
«Non cambierei Belluno con nessuna città in Italia perché è una città a misura d’uomo, dà la possibilità di una vita normale, bella; qui c’è un forte senso di “comunitas” perché Belluno è l’antitesi della “società liquida” tipica delle grandi città, definite dal sociologo polacco Zigmunt Bauman come il luogo dove tutti paradossalmente si avvicinano, ma poi si scansano e nemmeno si salutano.
Belluno ha una storia comune, di vita, di cattolicità, di condivisione e in questa prospettiva cercherò di portare qui personale infermieristico, anche perché le nostre comunità cattoliche del nord si sentono ancora culturalmente legate alla storia della Serenissima.