Decine di scritte lasciate sulla roccia dalla prima metà dell’Ottocento documentano la vita di uomini e donne di Cesiomaggiore che utilizzavano i ripari sotto roccia come rifugio durante le attività di pascolo delle greggi, per il taglio del fieno sui ripidi pendii, per i lavori nei boschi e anche per la caccia.
Il Cogol de la Cia si trova nella valle di Sant’Agapito a 1000 metri di quota alle pendici del Monte Palmar e, tra tutti quelli presenti nella valle, è il più grande. Poteva ospitare almeno una decina di persone con i loro animali e singolare è la presenza di una piccolissima casera all’interno del covolo.
Le pareti di roccia del covolo sono state utilizzate come grandi lavagne a cielo aperto che, ad un’attenta lettura, ci forniscono non solo una lista di nomi, di date e di altri segni da decifrare, ma ci svelano qualcosa del mondo di chi, per necessità, era costretto a vivere in quel luogo, anche per settimane; una sorta di campo base, da cui partire, per sfruttare ogni minima risorsa della montagna. Gli autori erano persone prive di istruzione ma decise a dichiarare la propria identità, il proprio saper scrivere, anche attraverso disegni che richiamano idealmente all’arte rupestre.
I ripidi versanti meridionali del Monte Palmar e della Valle di Sant’Agapito, dai 1900 ai 1000 metri di quota, erano sfruttati intensamente per la fienagione e in parte per il pascolo ovino e caprino asciutto che, non dovendo essere munti, potevano essere pascolati sui terreni più impervi alla ricerca anche dell’ultimo filo d’erba.
Casere e covoli raccontano di un sistema organizzato di collegamento del fondovalle con le terre alte che è facile immaginare possa risalire tra la fine dell’Età del Bronzo e la successiva Età del Ferro, considerata la recente scoperta di un villaggio dell’Età del Ferro proprio all’imbocco della Valle di Sant’Agapito. Pastori, sfalciatori e boscaioli della Valle di Sant’Agapito, non diversamente dai loro antenati pre e protostorici o, per altri versi, dai moderni writer metropolitani, hanno lascito qualcosa di sé sulla falesia calcarea del Cogol de la Cia: scritte rupestri che rimangono perfettamente leggibili a dispetto di due secoli di intemperie. Esse si compongono del nome e cognome dell’autore e sono seguite dall’indicazione dell’anno, spesso con mese e giorno, talvolta accompagnate da disegni e simboli, come i simboli religiosi o figure di animali, scene di caccia, ritratti, autoritratti, messaggi di saluto e annotazioni diaristiche.
Si tratta di “segni” meritevoli della dignità di vero e proprio elemento documentario, quale imprescindibile tassello nell’individuare le trasformazioni del paesaggio in rapporto al popolamento dell’ambiente alpino e allo sfruttamento delle sue risorse naturali.
Ricostruire la storia locale è un processo che alle volte diamo per scontato, ci accontentiamo dei racconti di coloro che hanno vissuto in prima persona o che a loro volta li hanno sentiti da altri. Tuttavia questa tradizione orale finisce desolatamente per alterare la realtà e lascia per strada dettagli che non troveranno mai una spiegazione.
Il Cogol de la Cia è un lascito dei nostri antenati; ripercorrere la storia di coloro che ci hanno preceduto è il primo passo verso una piena valorizzazione del territorio con l’obiettivo di dare dignità alla montagna di mezzo che si insinua nella dicotomia montagna-pianura.
Il Cogol dovrebbe diventare un punto di riferimento importante per la storia locale, valorizzandolo come monumento della memoria collettiva. Non merita di finire inghiottito dall’inesorabile avanzare del bosco, bisogna essere cittadini consapevoli di una realtà che non deve morire ma evolversi nel tempo.