La Schiara. Da Belluno essa si scorge in quasi tutta la sua armonica ampiezza. Con le sue rocce dolomitiche chiare, con le sue pareti che precipitano per oltre 800 metri, che nettamente la caratterizzano e la distinguono dai monti vicini che l’accompagnano. Maestosa nel selvaggio della sua complessità e della sua diversità. La grande parete del Burel, oltre 1300 metri di parete strapiombante, generalmente non si vede oppure appare parzialmente mutilata.
Nell’ampio anfiteatro del Pis Pilon, ove è situato il Rifugio Settimo Alpini, in questo immenso catino, fatto di natura, ove crescono e maturano rocce che separano il mondo della pianura da quello dei monti, nasce la vera montagna: maestosa, ricca, che assume una solenne architettura di castello, che ospita un pinnacolo, un obelisco singolare, la Gusela del Vescovà, e che tutta intorno protegge quel catino di verdi intersecati da fitti canali, fenditure, ricco di faggi, di abeti, di mughi, di rocce.
Ove il catino si restringe, ove l’anfiteatro si fa stretto, ove canali, fenditure, piccole gole si incontrano, nasce un torrentello, forse un fiume. Nasce l’Ardo. Il giovane Ardo scorre, salta, balza, di sasso in sasso, di roccia in roccia, verso valle. Rumoreggia. Cascatelle, marmitte.
Le acque scorrono giù fino alla Ponta de l’Anta ove oggi l’Ardo raccoglie le acque della Piave e con esse si confonde, cambiando nome. Ma quelle acque provenienti dal nord, dalla Val Visdende, dal Peralba, forse un tempo qui non giungevano. Forse avevano un altro corso. Forse piegavano verso il Fadalto, e scendevano verso Vittorio Veneto, lungo quel solco tracciato tra i Monti dell’Alpago e la catena del Visentin. La Val Lapisina. Forse. E forse l’Ardo non confondeva le proprie acque e diventava esso stesso fiume, proseguendo in una corsa lenta, solcando, incidendo l’ampia pianura della Val Belluna, accogliendo dapprima le acque del Cordevole, e superando poi la Stretta di Quero. Scorreva, quel torrente divenuto fiume verso il mare, ove davvero il dolce diventava salato, e il piccolo diventava grande.
La Schiara, la S’ciara, la Sciara de oro, oggi persino montagna regina. Lassù, lontana, a settentrione di Belluno, alla testata della Valle dell’Ardo, ai limiti nord occidentali della Val Belluna, ai tempi della mia gioventù già la vedevo emergere costantemente con la sua Gusela.
A quel tempo essa mi sembrava davvero irraggiungibile con le sue rocce maestose, la sua diversità, la sua lontananza. Eppure un giorno quel sogno si sarebbe realizzato. Ci sarei arrivato un po’ tardi, quasi ventenne, partendo a piedi da casa mia in Via dei Fabbri, dai 330 m di quota equivalenti al Borgo Pra di Belluno, raggiungendo il rifugio, la Gusela e talvolta la cima.
Quel sentiero che – nel primo tratto da Case Bortot verso il Ponte del Mariano – tanto traversava, tanto era panoramico allorché scopriva la Schiara, tanto ci piaceva.
La Valle dell’Ardo piano piano si arricchiva nella nostra conoscenza e si trasformava in una Valle delle Meraviglie, cui, alla Forra di Corontola, si aggiungevano l’Orrido de la Mortis, il Bus del Buson, autentico canyon sia pure di dimensioni e proporzioni contenute e la Farsora, ove il Zimon del Terne e il M. Serva si accostano e si baciano.
Forse potevano bastarci questi ambienti cui dovevamo pur aggiungere la parte in alto con le sue marmitte, le sue cascate, il suo anfiteatro, la sua montagna dolomitica, il selvaggio. Ma col tempo ulteriore avremmo anche “scoperto” che quel sentiero-mulattiera era inciso nella viva roccia e che in certi tratti esso si trasformava in una vera e propria cengia, comunque ampia e sicura.
Quante volte abbiamo percorso il sentiero 501 che sale verso il Rifugio 7° Alpini. Tante davvero. Eppure la nostra conoscenza si è arricchita di volta in volta. I nostri occhi non si sono mai saziati di vedere, di scoprire, la nostra mente di memorizzare, di analizzare. Quante volte nei mesi di aprile, di maggio, siamo discesi al Ponte del Mariano attraversando una zona di verdi intensi particolarmente odorosa!
Quante volte ci siamo inebriati di quei profumi, di quei colori che ad ogni passaggio pareva volessero impedirci il cammino! Il nostro odorato aveva percepito il profumo dell’aglio selvatico. I nostri occhi avevano percepito la bellezza di quella presenza quasi invadente, per taluno “intrigosa”. Ci avevano però detto essere piante non commestibili, persino velenose. Questo e la fretta di salire verso l’alto ci avevano sempre impedito di approfondire questo incontro. Ma ora sappiamo trattarsi dell’aglio orsino con le sue tante qualità terapeutiche che abbiamo sperimentato anche su di noi positivamente. L’aglio orsino, l’ultimo dono che ci giunge dalla Schiara, la cima che più di ogni altra coi suoi 2565 m, domina la Val Belluna.