Esattamente 80 anni fa Mussolini dichiarava guerra alla Francia coinvolgendo la nostra nazione, a soli 20 anni dal primo conflitto mondiale, in un’altra immane tragedia che ci porterà non solo lutti e distruzioni, ma anche odio fra italiani i cui strascichi restano tuttora.
A seguito dell’invasione (1 settembre 1939) della Polonia da parte dei tedeschi, Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania. Il 10 aprile 1940 poi inizia l’offensiva tedesca sul fronte occidentale con l’occupazione dopo soli 2 mesi (15 giugno) di Parigi. Il 10 giugno l’Italia dichiara guerra alla Francia (ormai prostrata) e alla Gran Bretagna, fidando il duce in una rapida conclusione del conflitto che gli consenta guadagni territoriali senza tanto impegno. Sostiene infatti che è necessario “solo un pugno di morti per potersi sedere al tavolo dei vincitori”. Un’autentica pugnalata alla schiena come verrà definita da tutti.
Nei primi due giorni non avviene alcuna azione a causa del forte maltempo (pioggia e pure nevischio sulle alte quote). Il 12 giugno l’aviazione inglese bombarda le zone industriali di Torino e Genova senza danni significativi malgrado la nostra contraerea mostri una totale inefficienza. La notte successiva aerei italiani attaccano la base navale di Tolone e il 15 giugno, mentre i tedeschi entrano trionfanti a Parigi, navi francesi attaccano il porto di Genova e i depositi dei carburanti. Fra il 16 e il 17 giugno, avendo la Francia chiesto le condizioni di armistizio ai tedeschi, Mussolini ordina di attaccare subito sulla costa, per occupare Mentone, e sulle Alpi al Colle del Piccolo San Bernardo e al Colle della Maddalena, nonostante i nostri generali facciano presente che non siamo pronti. Il 20 giugno le nostre truppe varcano il confine con la Francia e il 21 (in concomitanza con i tedeschi che avanzano da nord) attaccano sulla costiera venendo subito fermati, mentre sul Colle del Piccolo San Bernardo i 45 chasseurs des Alpes (cacciatori delle Alpi) di un vecchio forte riescono a sbarrare la strada alla Divisione alpina Taurinense, alla divisione motorizzata Trieste e a due battaglioni alpini. Sul colle della Maddalena una forte nevicata blocca gli uomini della divisione alpina Pusteria, mentre lungo le strade dei valichi regna il caos con incredibili ingorghi provocati dalle autocolonne: le ambulanze non riescono a passare e parecchi soldati feriti muoiono dissanguati. Eppure si trovano di fronte ben 21 divisioni italiane (300.000 uomini) contro sole 6 francesi (175.000).
Capita pure che a spararsi contro sulle Alpi ci siano amici e parenti in uniformi diverse (alpini italiani e reparti da montagna francesi). Il 23 giugno una colonna scesa dalle montagne riesce ad entrare a Mentone: è l’unica conquista! Il 24 avviene la firma dell’armistizio tra Francia e Italia, su imposizione della Germania. La totale insipienza dimostrata dai nostri comandi nel programmare questa prima battaglia si ripeterà per tutta la guerra, nella quale siamo entrati completamente impreparati e carenti in mezzi, armamenti ed equipaggiamento. In soli 5 giorni il nostro esercito ha oltre 600 morti, 616 dispersi, 2631 feriti, 2151 congelati, 1141 catturati prigionieri e liberati dopo l’armistizio.
Questa è la testimonianza di Valentino Deon (nato nel 1918) da Villa di Sedico: “Alla fine del campo estivo, quando i veci del 1917 dovevano andare in congedo e gli alpini erano tutti fermi sul presentat’arm, all’annuncio fatto dal colonnello comandante Ghe che era scoppiata la 2a guerra mondiale mentre noi, reclute, restammo fermi, i veci buttarono via i fucili. Ero alpino del 7° del Battaglion Belluno. Partimmo sui carri bestiame diretti al fronte francese (fu una pugnalata alle spalle). A Feltre in stazione c’erano alcuni borghesi che manifestavano a favore del nostro intervento. Arrivati alla stazione di Torino, con le porte aperte dei carri, gli alpini seduti con le gambe penzoloni fuori, cantavano «Pane, pane ai nostri bambini, quel vigliacco di quel Mussolini che alla guerra ci vuole mandar!»: ce l’avevano insegnata gli ufficiali. Imbestialiti, i fascisti di guardia alla stazione cominciarono a chiudere violentemente le porte dei carri bestiame sulle gambe degli alpini: porte, che una volta chiuse, si potevano aprire solo dall’esterno. Arrivammo al Colle della Maddalena e qui gli alpini ebbero i primi morti e feriti: i francesi sparavano da un forte che, visto dopo la fine delle ostilità, risultava imprendibile”.