Racconto tratto e liberamente sviluppato da “Actum Vigo in casa dell’officio di Fassa li 30 maggio 1755″ in Protocolli del Giudizio di Fassa”: 1755, carta 733 e seg (A.S.T.) e dal “Registro dei Morti” della Parrocchia di Santa Giustina (BL).
Questo racconto riguarda un episodio avvenuto nel maggio 1755 e racconta la triste avventura, tuttora avvolta nel mistero, di un certo Gio. Antonio Mosele Fissato e dei suoi due aiutanti. Il Mosele, originario di Asiago, aveva preso alloggio a pagamento a Pozza di Fassa presso Battista Florian in una stanza dove, per propria comodità, aveva collocato un letto avuto da Battista Solar di Vigo in cambio di vino, assieme ad una coperta di piuma che non aveva ancora pagato.
L’attività del Mosele era quella di raccogliere stracci per venderli alla “cartiera” di Feltre, oltre a scambi di generi vari. Il vino, uno dei generi di scambio, lo prendeva dall’oste di Capriana, tale Battista Zanol, che gli aveva anche ceduto una mula per i suoi trasferimenti, senza però averne ricevuto pagamento alcuno. Dopo aver confezionato alcune balle di stracci, la mattina del 18 maggio 1755 il Mosele intraprese con due mule cariche il viaggio per Feltre partendo da Pozza assieme a Battista de Gasper e Gio. Giacomo Bozin, due fassani che trasportavano per conto di Mosele altre balle di stracci sui loro animali da soma. Quella fu l’ultima volta che Mosele superò il colle di San Pellegrino; fu il suo ultimo viaggio perché, discesa la valle agordina lungo il sentiero che per un tratto costeggia la certosa di Vedana ed il borgo di San Gottardo, giunti a S. Giustina i tre vennero fermati appena superato il Veses, e precisamente davanti alla chiesa, dai “birri” del territorio feltrino che chiesero la bolletta di transito. Secondo il racconto dei due aiutanti al loro rientro in Fassa, il detto Mosele, titolare del commercio, si era offerto di pagare quanto di dovere pur con qualche mugugno; senonché uno dei “birri”, dopo averlo percosso sulla faccia col fucile, lasciò partire un colpo che colpì mortalmente il Mosele in pieno petto. I malcapitati fassani, sgomenti per l’accaduto e timorosi di essere coinvolti in qualche ingiusta accusa non essendoci alcun testimone a loro discapito, neppure il pievano di S. Giustina, istintivamente decisero di ritornare immediatamente sui loro passi trascinando i loro animali, le mule del Mosele e le masserizie oltre il torrente Veses per rientrare nel territorio bellunese. Ma la vicenda non finì qui, perché seguì una serie di altri eventi causati dai problemi economici o meglio dai debiti accumulati dal Mosele.
Vista la notte ormai fonda, i due pensavano di chiedere riparo nei pressi della certosa di Vedana sperando anche di ottenere dal rettore della certosa [padre Gioacchino Nasini, uomo buono ed esperto di giustizia, già procuratore “ad lites et negotia”] una specie di salvacondotto per il resto del viaggio di ritorno ma, giunti nella località detta Grom (Gron), fermati i muli per farli riposare, furono raggiunti da un certo Tramontin, creditore del Mosele di 200 fiorini, che sbraitava di aver mandato a chiamare i “birri” da Belluno per avere giustizia del suo credito.
Non dovette loro suonare troppo gradito l’annuncio che stavano per giungere i “birri” di Belluno; ne avevano già abbastanza di quelli di Feltre! Abbandonarono quindi sul posto una delle mule di Mosele e le balle degli stracci a saldo del debito e con le loro cavalcature e l’altra mula di Mosele, più in fretta che poterono, iniziarono a risalire la valle agordina. Ci vollero tutto il giorno e la notte successivi di cammino continuo per riattraversare il colle di San Pellegrino e giungere verso il mezzogiorno in Fassa, dove poterono finalmente riposare e riprendersi dalla brutta esperienza.
A Vigo di Fassa i due vennero convocati in giudizio il giorno 30 maggio 1755 per chiarire i risvolti della torbida vicenda: dopo aver raccontato per filo e per segno l’ avventuroso viaggio verso Feltre con e per conto del Mosele, quanto era successo in quel di S. Giustina ed il loro precipitoso rientro, chiesero al giudice di poter appropriarsi della seconda mula come risarcimento del denaro da loro prestato a Mosele stesso e come ricompensa del viaggio infruttuoso. Francesco Saverio Ricci, capitano e giudice in Fassa, “osservata l’esposizione dei due Fassani, concesse loro di trattenere la detta mula, di custodirla e mandarla a pascolare, come animale sotto sequestro, e questo per tre settimane. Se nel frattempo non compariranno o gli eredi del Mosele o i suoi creditori si prenderanno ulteriori delibere”.
Purtroppo le notizie si diffondono in fretta e le sventure non vengono mai da sole, sicché il 2 giugno seguente si presentò in Tribunale Battista Zanol, l’oste di Capriana, per riavere la mula da lui venduta al Mosele ma mai pagata, a saldo anche di un debito per vino datogli ad uso personale e commerciale. Battista Solar di Vigo, che aveva dato al Mosele il letto che si trovava in casa del Florian a Pozza, si presentò per riavere almeno il piumino non ancora pagato. Anche il Florian che dava, oltre all’alloggio, il vitto al Mosele per quattro carantini al giorno voleva tenersi il piumino a saldo dei debiti ma, dato che il Mosele aveva lasciato in casa un chilogrammo di burro, una tabacchiera di corno, un “piron”, quattro “braghe” di pelle, un corpetto e inoltre quattro fiorini di credito, il giudice gli intimò di ritenersi soddisfatto e di consegnare il piumino all’altro creditore. Solo i due aiutanti, dopo aver anche pasciuto la mula con il loro fieno, rimasero senza soddisfazione alcuna delle proprie richieste.
Nonostante l’atto di giudizio tenuto in Vigo di Fassa, cosa ne fu del povero Mosele non fu mai del tutto chiarito dal capitano e giudice Francesco Saverio Ricci, né dai gendarmi di Feltre e neppure dal pievano di S. Giustina, don Giuseppe Cambruzzi, che però nel “Registro dei morti” della Pieve di Santa Giustina alla fine di maggio 1755 riferisce quanto di sua conoscenza sul ritrovamento del corpo di uno sconosciuto, forse un mendicante di circa ventiquattro anni “annegato per puro accidente” e che per disposizione della Giustizia di Feltre fu subito sepolto nel Cimitero di Santa Giustina con l’assistenza del cappellano don Crescenzo Pagnusati .
Ieri si ritrovò un giovane annegato per puro accidente nel fiume
Cordevole sul grave del Comun di Salzan che potrà auere
meno di anni 24. Mendicante perchè trovatogli attacato
al colo un sacchet con poca farina, al quale per ordine
della Giustizia di Feltre gli si diede sepoltura
qui in S.Cimitero di S. Giustina coll’assistenza
del Rev. Cappel. Pagnusati.
1755 , 30 maggio scrissi – (Giuseppe Cambruzzi parroco).
La concomitanza di date negli eventi citati dai due atti ufficiali, scritti all’insaputa reciproca, fa fortemente sospettare che si trattasse proprio del cadavere del povero Mosele.
Fu davvero un annegamento “per puro accidente” come si volle sottolineare, ed allora i due fassani avrebbero mentito, oppure l’annegamento fu solo una montatura per pulire il corpo e mascherare il torace con “un sachet con poca farina attacato al colo” per nascondere la vera causa di morte di quello sventurato giovane: lo sparo in pieno petto partito involontariamente dal fucile di uno dei “birri”?
Anche se le coincidenze concorrono ad avvalorare il racconto dei fassani Battista De Gasper e Gio. Giacomo Bozin, questa vicenda rimarrà un piccolo mistero nella storia locale , uno dei tanti misteri di cui la storia è costellata, ma che conferma come “il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi…”.